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Daniele Vicari ci racconta Diaz

06/04/2012 | Interviste
Daniele Vicari ci racconta Diaz

“La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda Guerra Mondiale”. Così definì l’accaduto Amnesty International, e questa stessa frase è impressa a chiare lettere sulla facciata del pressbook che ci viene consegnato alla proiezione dell’ultimo lavoro di Daniele Vicari. Diaz è un film duro e difficile da digerire perché quel G8 di Genova del 2001 è una macchia indelebile nella storia di un Paese come il nostro, nel quale si professano diritti e mancanze di abusi. Ciò che avvenne nella Scuola Diaz, nella quale nella notte del  21 luglio più di 300 poliziotti irruppero  nella sede del Genoa Social Forum e picchiarono selvaggiamente 93 innocenti, è un avvenimento che tutt’ora ha delle irrimediabili ripercussioni su chi ha vissuto quella terribile esperienza. La barbarie non fini lì ma continuò a perpetrarsi nella Caserma di Bolzaneto, nella quale erano state trasferite le persone in stato di fermo dopo il blitz. Il film indugia sulla violenza dei poliziotti al momento dell’irruzione e sulle torture da loro stessi eseguite nel carcere, ma lo fa con delicatezza ed onestà, basando la ricostruzione degli avvenimenti esclusivamente sugli atti processuali e fatti comprovati.

Prodotto da Domenico Procacci il film pone la lente di ingrandimento volontariamente solo sulla Diaz e la Caserma di Bolzaneto, lasciando sullo sfondo gli avvenimenti politici di quel periodo e le cause che hanno portato a questo deleterio annientamento della democrazia nel nostro Paese. Come afferma lo stesso Vicari questo non vuole essere un film politico perché, da critico cinematografico non gli è mai piaciuta la definizione di cinema civile: “Questo film è stato fatto per denunciare l’evidente sospensione dei diritti umani. Accettarlo avrebbe significato dimenticarsi della democrazia e dell’ineludibile rispetto per gli individui. Il mio concentrami sui fatti della Diaz e di Bolzaneto è determinato dal fatto di voler raccontare la verità, e non avanzare delle ipotesi. Il cinema rimane cinema e voler dare delle spiegazioni politiche non è quello che mi interessava fare, ne tantomeno mi ritengo in grado di fare”.

Il film si basa su un grandissimo lavoro di ricostruzione fatto dallo stesso Vicari e da Laura Paolucci, Alessandro Bandinelli ed Emanuele Scaringi, lavoro che li ha visti impiegati nello studio ed analisi degli atti dei processi, nei quali vi sono le dichiarazioni rese dai 93 arrestati alla Diaz e poiché il G8 di Genova fu un evento mediatico senza precedenti, gran parte del materiale visionato è in formato video. “Le uniche libertà che ci siamo presi” continua il regista “sono inerenti alla scrittura dei personaggi. Non potendo rappresentare singolarmente ogni individuo di questa storia, ci siamo limitati ad accorparne alcune caratteristiche comuni al personaggio, fornedo una summa delle storie di più persone. Su questa vicenda si potrebbero girare 200 film, ma a questo punto avrei dovuto eguagliare il lavoro di Edgar Reitz in Heimat, facendo una immensa ricostruzione storica. La frase che invece mi veniva in mente mentre scriveamo la sceneggiatura è quella del grande maestro Orson Welles che diceva: il senso di un film sta nella punta di uno spillo”.

Un film come questo, nel quale viene raccontata una verità scomoda, ha fatto mettere le mani avanti al Ministero dell'Interno che, con una circolare, chiede ai poliziotti il silenzio su "pellicole cinematografiche che affrontano la ricostruzione storica di eventi relativi ad attività di polizia in situazioni ordinarie e straordinarie". Procacci ci tiene a sottolineare che durante la lavorazione la sceneggiatura è stata messa nelle mani dell’ufficio stampa della Polizia, al fine di un pacifico e produttivo confronto su ciò che sarebbe stato raccontato nel film. Questo incontro sfortunatamente non è mai avvenuto ma, in chiusura della conferenza, l’ufficio stampa Fandango ha reso nota la notizia che il 15 maggio 2012 Diaz  verrà proiettato nella sede del Parlamento Europeo.

Serena Guidoni

 


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